Il 14 settembre dell’anno 2019 a Città di Castello, nelle sale di Palazzo Vitelli a Sant’Egidio, va in scena, fino al 3 novembre, l’esaustiva esposizione dedicata a un grande autore del fumetto mondiale: Dino Battaglia.
Il volume che avete tra le mani ripercorre questa mostra ed è il risultato dell’amore di saggisti, editori, critici, scrittori, giornalisti, sceneggiatori, scultori e amici che hanno dato un significativo contributo per raccontare la sua storia e scandire le tappe del suo straordinario lavoro artistico.
Forse non tutti sanno che Dino Battaglia ha usato raramente il colore, salvo in alcuni disegni realizzati da giovanissimo (visibili per la prima volta nelle pagine 19, 20, 21) e in rarissime occasioni successive. A quello pensava sempre la sua “sposa”, come lui amava chiamarla, retrocolorando le tavole a fumetti e acquarellando le illustrazioni a china, quando richiesto dall’editore.
Dino era particolarmente affascinato dalle gradazioni del grigio che otteneva con un batuffolo di cotone e mascherine sagomate su carta vegetale. Sono convinto che nei suoi grigi Battaglia vedesse diverse varietà di colori. Forse per questo non sentiva l’esigenza di usare il rosso vermiglio, il blu oltremare, il verde acqua, il giallo canarino: non ce n’era bisogno, il colore che voleva era tutto nelle sfumature dei suoi grigi.
Vorrei ora raccontare il mio incontro con Dino Battaglia.
Ho sempre letto le riviste a fumetti, ma non ho mai avuto l’abitudine di conservare o catalogare nulla. Eppure, nonostante vari traslochi, c’è un volume da cui non mi sono mai separato e che tengo con cura. Un volume al quale ogni tanto torno, con curiosità e piacere.
Quel volume è Totentanz di Dino Battaglia, un oggetto prezioso, di famiglia. Ricordo quando, molti anni fa, riuscii a procurarmi l’indirizzo del grande disegnatore e dopo averlo contattato mi recai a trovarlo nella sua casa di Milano. Suonai al campanello, un po’ intimidito, ma Dino e sua moglie Laura mi accolsero con disponibilità, incuriositi da quel giovane che desiderava conoscere l’autore di Totentanz. e vedere da vicino alcune pagine originali.
Mi trovai di fronte a piccoli gioielli in bianco, nero e grigio, dove la composizione della tavola e il segno “spigato” non mostravano ripensamenti. Guardando quelle pagine suggestive, “silenziose” e perfette provai una forte emozione. Tornai dai Battaglia dopo circa un mese con un blocco di cartoncini della stessa misura e della stessa marca che usava Dino.
Mi era rimasta in mente una sua frase: «Sono pigro anche per scendere in basso a comprare i fogli per disegnare». È bello sapere che parte del suo lavoro sarebbe stato successivamente eseguito proprio su quei cartoncini.
È uno strano destino quello di Battaglia. Riconosciuto unanimemente come uno dei più grandi nel suo campo, non ha mai raggiunto una grandissima popolarità internazionale, come certamente avrebbe meritato. Lui stesso diceva di disegnare più per i colleghi che per il pubblico. A ciò ha contribuito certamente il fatto di non aver mai seguito con insistenza la strada del fumetto popolare, preferendo un percorso professionale più raffinato, orientato a rappresentare i temi a lui più cari, le atmosfere e le emozioni più sottili.
La cifra distintiva dello stile di Battaglia può essere identificata nel rigore. Egli prediligeva il tratto semplice della china a pennino e per buona parte della sua carriera, in controtendenza alla maggior parte dei colleghi, ha curato le sfumature del grigio, come se soltanto i mezzi toni potessero consentirgli di andare oltre l’immagine, penetrando dentro l’essenza delle cose.
Nella sua vita è sempre rimasto fedele a questa particolare inclinazione espressiva, ha inventato soluzioni grafiche sorprendenti, modellando macchie irregolari date con spugna e batuffolo di cotone, lavorando caparbiamente sulle sfumature, alla ricerca di un grigio che potesse liberare sul foglio una forza visionaria ed evocativa.
Ripenso a una tavola di Battaglia realizzata per Saint Antoine, storia tratta da Maupassant, dove è rappresentata una sequenza invernale. Ebbene, guardando quella tavola pare di “sentire” l’odore della neve, si percepisce il freddo, si avverte il rumore ovattato dei movimenti delle persone.
Credevo fosse un’impressione del tutto personale, ma poi mi sono imbattuto in una frase di Sergio Toppi, altro straordinario disegnatore amico di Dino.
Nel ricordare il collega scomparso, Toppi fa un riferimento preciso alla stessa pagina che aveva colpito anche me: «Non so perché mi sia così cara, avrei potuto sceglierne mille altre, tutte stupende. Non so perché proprio quella, un cavallo col carretto sotto la neve. Ma quel cavallo, quel carretto nell’atmosfera grigia dell’inverno, quei muri scabri che sembrano trattenere la neve sulle loro asperità sconsolate sono diventati per me una pietra di paragone… ».
Mi piace pensare che, dopo una vita passata al suo piccolo tavolo da lavoro, tra squadrette, cartoncini, matite, china, pennini, batuffoli di cotone, dopo tante variazioni ed esperimenti, nelle ultime tavole disegnate Battaglia sia riuscito a ottenere quella sfumatura del bianco e nero che aveva nell’anima e che da sempre cercava: il grigio perfetto.